Esistono opere che restano nel tempo e che del tempo diventano testimoni, non solo per la loro specifica utilità, ma per il valore culturale che riescono a diffondere. È il caso della centrale idroelettrica di Marlengo. Un vero e proprio scrigno d’arte.
«La storia dell’energia elettrica nella conca di Merano ebbe inizio nel 1897 quando il sindaco meranese Roman Weinberger e quello bolzanino Julius Perathoner decisero di associarsi per costruire e gestire la centrale idroelettrica a Tel attraverso l’Azienda Elettrica, ossia le allora “Etschwerke”. Dopo il primo conflitto mondiale, tra il 1924 e il 1926, la Società Elettrica Alto Adige (SEAA) realizzò la centrale di Marlengo che fu in grado di produrre corrente continua» – ricorda la professoressa Rosanna Pruccoli.
Dal punto di vista architettonico, la centrale di Marlengo è costituita da tre corpi di fabbrica con facciata unica caratterizzata da ampie aperture tripartite con modanature classiche. All’interno lo spazio delle tre sale è diviso da tre arconi e in questo spazio trovano posto le preziose decorazioni e due dipinti che impreziosiscono la struttura. «Il progetto – precisa l’architetto Carlo Trentini che, il 13 aprile, nell’ambito del progetto del FAI “Una via d’acqua che unisce i popoli. L’Adige e i suoi affluenti”, ha guidato una visita alla Centrale – fu affidato all’ingegnere Angelo Omodeo di Milano nel 1924 e cela al suo interno un rimando simbolico alla metafora dell’energia dominata dall’uomo, attraverso due meravigliosi affreschi recentemente restaurati».
Parliamo delle opere di Galileo Chini, artista fiorentino, imprenditore di se stesso e grande viaggiatore. «Chini frequentò sia le Esposizioni Universali che le Biennali di Venezia, fu influenzato dagli esiti artistici provenienti dall’Inghilterra, soprattutto dalle Arts and Crafts capeggiate da William Morrison, subì il fascino di Klimt e della Secessione viennese e della Tailandia, dove lavorò per due anni» – spiega la professoressa Rosanna Pruccoli, storica dell’arte, ricercatrice e curatrice di mostre e di cataloghi d’arte. In Chini, dunque, si fusero Oriente e Occidente, la tradizione medievale e quella rinascimentale, con lo stile Liberty, fino a spingersi all’Art Deco e al più cupo espressionismo. «I due dipinti posti in pendant l’uno davanti all’altro nella centrale sono magnifici – chiarisce la professoressa -. Il primo rappresenta una inarrestabile mandria di cavalli al galoppo, allegoria della forza dell’acqua capace di azionare i motori e produrre energia. L’altro raffigura un sole lucente che irradia la sua energia».
Ma non è tutto, perché la centrale riporta anche altri elementi di pregio: «L’intervento progettuale non si è limitato ai volumi e al contrappunto dei vuoti e dei pieni, ma ha prestato molta attenzione al dettaglio decorativo. I pavimenti sono a mosaico con tessere bianche e ampie fasce a greca di tessere rosso granata. L’alto zoccolo parietale è realizzato in piastrelle di maiolica con semplice nastro di tessere rosso sangue. I motivi geometrici a strisce rosse e nere su fondo bianco si sviluppano lungo i fianchi dei pilastri, sugli sguanci delle porte e delle finestre con inserti circolari a raggi, chiara stilizzazione del sole. Anche le travi dei solai laterali alla sala macchine sono riccamente decorate di motivi geometrici bianchi, rossi e neri contribuendo, seppur con una certa cupezza, a rievocare talune coperture lignee di chiese tardoromaniche» – sottolinea l’architetto Trentini.
Non sono da meno nella cura dei particolari e nell’adeguarsi alla composizione decorativa generale, i ferri battuti delle ringhiere e dei cancelli, tra cui emergono le lampade, per la bellezza del disegno e l’accurata esecuzione, fabbricate a Firenze da De Matteis, anch’esse a rappresentare il sole. In conclusione, dunque, il trinomio di bellezza, robustezza e utilità è più volte ripetuto nella composizione dei materiali impiegati, nella distribuzione delle masse e nelle decorazioni. Grazie a questi fregi, l’opera arriva fino a noi ricordando non solo la potenza della tecnica e dell’innovazione, ma anche la straordinaria forza della bellezza, unico linguaggio capace di attraversare frontiere spazio-temporali.